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Centro Studi "G.Lazzati"-Sede Regionale"Rosangela De Grazia"-Via Magellano,Trav.II-GIZZERIA MARINA-

CENTRO STUDI"G.LAZZATI"-SEDE REGIONALE"ROSANGELA DE GRAZIA"-VIA MAGELLANO,IITRAV.-GIZZERIA MARINA- Tel.338 4900103---338 5210483---368 7860748 -www.centrostudilazzati.blogspot.com
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mercoledì 17 settembre 2014

RICEVIAMO DAL PRESIDENTE DEL CENTRO STUDI REGIONALE E PRESIDENTE AGGIUNTO ONORARIO SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE DOTT.ROMANO DE GRAZIA....

Voto di scambio: art. 416 ter C P e legge Lazzati
di Romano De Grazia e Marco Angelini

Il dibattito sull'influenza della criminalità
organizzata nella campagna elettorale è ritornato
di stringente attualità all'indomani delle prime
sentenze emesse successivamente all'entrata in
vigore del nuovo art. 416 ter c.p., rubricato
appunto “scambio elettorale politico – mafioso”.
La Suprema Corte ha infatti stabilito (cfr.: Cass.
pen., sez. VI, 3.06.2014, n. 36382) che le modalità
di procacciamento dei voti debbono costituire
oggetto del patto di scambio politico­mafioso, in
funzione dell'esigenza che il candidato possa
contare sul concreto dispiegamento del potere di
intimidazione del sodalizio mafioso e che
quest'ultimo si impegni a farvi ricorso.
L'andamento dei lavori preparatori fa infatti
ritenere, sempre secondo la Corte di Cassazione,
che la modalità di procacciamento sia stata
ritenuta “funzionale all'esigenza di punire non il
semplice accordo politico­elettorale del candidato
o di un suo incaricato con il sodalizio di tipo
mafioso, bensì quell'accordo avente ad oggetto
l'impegno del gruppo malavitoso ad attivarsi nei
confronti del corpo elettorale con le modalità
intimidatorie tipicamente connesse al suo modo di
agire”. Questo principio è stato sostanzialmente
ribadito anche dalla recentissima sentenza, sempre
della VI sezione, depositata il 9.9.2014, n.
37374/14, che pur affermando che le modalità di
procacciamento rimangono esterni alla fattispecie
che si perfeziona al momento del patto di scambio,
conferma che chi, per proprie esigenze elettorali,
promette denaro ad una organizzazione criminale
mafiosa, deve essere consapevole della sua natura
e dei metodi che la connotano.
La Cassazione ha così delineato in modo
autorevole l'ambito di operatività dell'art. 416 ter
c.p. che, diversamente dai migliori auspici, pur
rappresentando un indubbio passo in avanti,
sembra mantenere sostanzialmente invariate le
perplessità sulla sua reale capacità di fornire
all'autorità giudiziaria un valido strumento per
perseguire il perverso legame fra politica e mafia.
E’ del tutto evidente che è rimasto deluso e
smentito chi immaginava, in totale buona fede, che
tale fattispecie potesse rappresentare una svolta
nella lotta alla criminalità organizzata e che avesse
resa obsoleta la battaglia che da oltre vent'anni il
Centro Studi Lazzati, fondato dal giudice Romano
De Grazia, sta conducendo per l'approvazione
integrale del c.d. disegno di legge Lazzati.
Il disegno di legge Lazzati, come noto,
prevede il divieto per il sorvegliato speciale di
poter fare propaganda elettorale punendolo, in
caso di violazione, con sanzione penale. La
sanzione penale, con conseguente interdizione dai
pubblici uffici, ineleggibilità e decadenza dalla
carica, viene estesa anche al candidato che la
richiede o la sollecita.
Tale norma, introdotta nel nostro ordinamento
con L. 13.10.2010, n. 175 e poi inserita agli artt.
67, VII co, e 76, VIII e IX co, D.L.vo n. 159/2011
(codice antimafia), ha finalmente posto rimedio ad
una evidente lacuna nell'ordinamento italiano che
pur privando espressamente il sorvegliato speciale
da qualunque diritto di elettorato sia attivo che
passivo, nulla diceva sulla capacità/possibilità di
fare propaganda elettorale.
Purtroppo, durante il dibattito parlamentare
l'originario disegno di legge è stato parzialmente
modificato con l'introduzione di alcune
incongruenze che ne hanno ridotto la portata
applicativa:
 con l’indicazione della propaganda elettorale ai
sensi della legge 4 aprile 1956, n° 212, l’attività
vietata sembra circoscriversi all’affissione di
manifesti e alla distribuzione di volantini (è
assolutamente fuori dalla realtà che durante le
competizioni elettorali i boss e i loro accoliti
vadano in giro distribuendo volantini o affiggendo
manifesti);
 eliminando quanto alla propaganda l’inciso “in
favore o in pregiudizio di simboli o liste” il divieto
è inapplicabile alle competizioni politiche in
occasione delle quali allo stato il voto di
preferenza non è consentito.
Va detto che al momento del voto finale tali
aporie erano state evidenziate ma data la fortissima
resistenza che tale legge aveva incontrato, il
relatore e lo stesso Governo (seduta al Senato del
06/10/2010, rappresentante del Governo il
sottosegretario Davico) hanno preferito, per
evitare nuove letture, non correggere il testo ma
approvare una sorta di “ordine del giorno
interpretativo” con la promessa, poi resasi vana, di
un veloce emendamento del testo in occasione
dell'approvazione del c.d. “Codice antimafia”.
Le modifiche emendative sono state riproposte
4successivamente ma hanno trovato resistenza finora
con motivazioni pretestuose o quantomeno
superficiali. In ultimo l'opposizione si è
concentrata proprio sulla presunta inutilità della
c.d. Legge Lazzati data la sopravvenuta
approvazione della modifica dell'art. 416 ter c.p..
Il recentissimo indirizzo giurisprudenziale ha una
volta per tutte spazzato via tale critica dando così
ragione ai numerosi appelli rivolti da Romano De
Grazia sulla piena vitalità e validità del disegno
Lazzati e sulla sua complementarietà rispetto
all'impianto codicistico.
Mentre il 416 ter c.p. vuol colpire un metodo
(quello di intimidazione mafiosa) di
procacciamento del consenso elettorale, la legge
Lazzati invece vuol impedire che soggetti, già
dichiarati socialmente pericolosi per la loro
contiguità/appartenenza alla criminalità
organizzata, possano fare propaganda elettorale. I
vantaggi applicativi appaiono del tutto evidenti:
nel primo caso sarà necessario acquisire la prova
dell'esistenza della promessa e soprattutto del
metodo; nel secondo caso invece è sufficiente che
le forze dell'ordine, che già hanno l'obbligo di
controllare i sorvegliati speciali, acquisiscano la
5prova della propaganda elettorale.
Chi vive nel territorio dove prolifera la mafia,
chi abita nei quartieri, nei paesi nelle cittadine a
forte infiltrazione mafiosa conosce perfettamente
chi è un capo mafioso e sa perfettamente che a
volte è sufficiente “l'attivarsi” per un candidato,
per un simbolo o una lista a far conseguire un
risultato elettorale; non è certamente necessario
alcun patto di scambio e/o consapevolezza,
neanche “ambientale” di atti di intimidazione o di
assoggettamento. Se anche si dovesse seguire il più
rigoroso indirizzo giurisprudenziale che ritiene
sufficiente la consapevolezza c.d. “ambientale” ad
integrare il requisito del “metodo mafioso”,ferma
rimane la necessità della prova del patto. Quando
non vi è la prova dello “scambio” l'art. 416 ter c.p.
non può essere applicato. La legge Lazzati invece
prescinde da tutto ciò e va a colpire il mafioso nel
momento della raccolta del consenso elettorale;
vuol impedire che la mafia faccia propaganda per
questo o quel candidato o partito; vuol impedire
sin dal momento fisiologico della raccolta dei voti
la possibilità che nasca un legame con il politico.
La legge Lazzati non ha come finalità precipua
quella di colpire il rappresentante del popolo o
l'esistenza di un accordo perverso, ma quella di
impedire che la mafia diventi soggetto politico. E'
questa la felice intuizione del dott. De Grazia che,
con una semplice e veloce norma, vuol cercare di
impedire alla radice che la mafia possa vantare una
benemerenza con il politico di turno, possa
alterare o comunque incidere sulla democrazia,
che ha nel momento elettorale la sua massima
esplicazione.
Tali considerazioni sono talmente evidenti che
risultano incomprensibili le opposizioni, gli
atteggiamenti equivoci, le freddezze che la legge
Lazzati ed i tentativi di emendarne i difetti hanno
incontrato e continuano ad incontrare anche presso
associazioni che tanto hanno dato e continuano a
dare nella lotta contro la criminalità organizzata.
Per riassumere, come ripetutamente scritto dal
compianto Prof. Vittorio Grevi, la legge Lazzati
nel suo testo originario colma una lacuna del
sistema:
1) perché consente di sanzionare i pur emersi
rapporti elettorali intercorsi tra malavitoso
sottoposto alla misura della sorveglianza
speciale e quelli del suo clan con il candidato
di pochi scrupoli, prescindendosi dal rapporto
sottostante – do ut des, do ut facias ­;
2) perché, altro rilevante effetto, previene o
meglio evita il provvedimento di scioglimento
dell’assemblea dell’ente elettivo, consentendo
la individuazione sin dalla competizione
elettorale del candidato appoggiato dalla mafia
(necessariamente il nome di questi deve essere
propagandato per poi essere votato)
E’ inoltre di tutta evidenza, come in
precedenza detto, la complementarietà della legge
Lazzati alla normativa di cui agli artt. 416 bis e
416 ter C P. La legge Lazzati si applica al
momento elettorale, prescinde non solo dalla
dimostrazione della ragione per la quale politico e
malavitoso hanno deciso l’accordo elettorale, ma
dalla stessa esistenza di un patto e si raccorda con
la menzionata normativa nel senso che se vi fosse
sin da subito dimostrazione dell’intervenuto
accordo e del suo illecito contenuto il PM
procederebbe a carico dell’uno e dell’altro
(malavitoso e candidato) ai sensi degli artt. 416 ter
e 416 bis C P. Se invece tale prova non vi fosse o
se addirittura non sussistesse un previo accordo fra
malavitoso e politico solo la legge Lazzati
potrebbe trovare spazi operativi perché avrebbe la
8capacità di colpire anche solo il mafioso.
Si ripete, infatti, che la legge Lazzati ha come
obiettivo quello di impedire che i soggetti
socialmente pericolosi, così riconosciuti e
dichiarati dall'autorità giudiziaria, possano
tranquillamente fare propaganda elettorale alla
ricerca di consensi per questo o quel candidato o
lista o simbolo. In tal modo, se ne si ha la voglia, si
toglie la politica ai delinquenti e la delinquenza ai
politici.
Con ciò, con il ribadire cioè la piena e
completa vitalità del disegno Lazzati non si vuole
affermarne la perfezione; è evidente infatti che
ogni testo legislativo è suscettibile di
miglioramento (pur se già passato al vaglio di
grandissimi giuristi come Cesare Ruperto,
Federico Stella e Vittorio Grevi) e per questo vi è
totale disponibilità di ascolto e di confronto per
cercare di restituire alla legge Lazzati l'iniziale
capacità applicativa e coerenza con l'ordinamento
giuridico; ciò che è invece incomprensibile è il
rifiuto di discuterne apertamente e senza riserve
mentali.
Per un dettaglio sul contenuto degli artt. 67 e 76
9del D.L.vo n. 159/2011 e sulle modifiche proposte
in parlamento si rinvia ai documenti allegati.
Allegati:
1) estratto D.L.vo n. 159/2011
2) proposta di legge n. 660 del 4.4.2013.
Dott. Romano De Grazia Presidente Aggiunto
Onorario Suprema Corte di Cassazione e Pres.
Centro Studi Regionale G. Lazzati
Prof. Avv. Marco Angelini docente di diritto
penale dell’economia Università di Perugia