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Grillini e De Grazia insieme a San Luca per la chiusura della campagna elettorale
SAN
LUCA - È stata impedita dal cattivo tempo la consuetudine del
Movimento5Stelle, oggi a San Luca; il temporale non ha, infatti,
concesso di allestire il tradizionale gazebo e di scendere in piazza per
presentare i candidati al Parlamento italiano e alla camera dei
deputati. È stata la sala consiliare del comune di San Luca il luogo in
cui candidati, militanti e cittadini si sono riuniti per spiegare e
ascoltare i programmi le intenzioni e gli scopi che nello specifico i
grillini calabresi avevano da proporre per il territorio della Locride.
Un incontro, che chiude il cerchio di
questi due mesi di campagna elettorale ‹‹che ci hanno visto presenti in
lungo e in largo su tutto il territorio regionale, al fianco della
gente, degli imprenditori e dei lavoratori, dei pensionati e degli
studenti. Abbiamo ascoltato e cercato insieme a tutti i soggetti
coinvolti le possibili soluzioni ai problemi scaturiti da questa crisi
economica creata ad hoc dalla finanza con il beneplacito della classe
dirigente italiana. Non abbiamo promesso niente, non abbiamo fatto
inutili giri di parole. Ma ci siamo confrontati e porteremo a Roma le
istanze della popolazione calabrese e di tutti i cittadini che ci hanno
dato fiducia››, queste le dichiarazioni Melania Di Bella, locrese, in
apertura del “comizio elettorale”. ‹‹Abbiamo voluto chiudere questa
campagna elettorale a San Luca proprio perché sentiamo il bisogno di
rilanciare il nostro concetto di cittadinanza attiva e del “nessuno deve
rimanere indietro” E che nessuno sarà lasciato solo a combattere contro
lo Stato- ha proseguito Francesco Molinari candidato al senato - uno
Stato che ha abbandonato questo territorio, uno stato presente solo con
la sua divisa. San Luca purtroppo – ha concluso - è diventato il simbolo
della “lordura” che vogliono buttare sulla Calabria, ma non potrà
essere più così grazie a quanti di voi stanno alzando la testa, perché
voglio risentirsi cittadini, ma non più cittadini di periferia ma parte
attiva di un nuovo processo di rigenerazione calabrese››. Parole forti
che colpiscono nel segno, che producono continui consensi, parole di
approvazione provengono dalla folla, se non altro perché nessun partito è
passato da San Luca durante questa campagna elettorale. Ma perché
dovrebbe essere così importante scendere nella piazza sanluchese?
Forse solo perchè questo piccolo centro aspormontano, culla della
‘ndrangheta calabrese è anche fonte di cultura è lo specchio di una
cittadina silente e soggiogata da questo cancro che deturpando e divora
la linfa della nostra terra. E allora è proprio per mettere in risalto
quest’altra faccia di una stessa medaglia che il Movimento5Stelle,
seguendo anche quello che sono le logiche imperanti in campagna
elettorale, propone San Luca come punto da cui ripartire, sfruttando
quella parte sana che vuole qualcosa un più, il diritto a essere
cittadino, per la sua terra. Ma sono i temi ambientali a essere tra i
protagonisti invitati a quest’ultimo banchetto elettorale, e un
necessario quanto scontato riferimento alla discarica di Casignana era
più che prevedibilmente richiesto. Un no netto dal Movimento5Stelle,
alla costruzione di nuove discariche o a rigassificatori, si propone la
cosiddetta strategia rifiuti zero, che consente di creare risorsa dal
rifiuto, proposte che come asserito dal Bachisio Canu, ‹‹creerebbe quel
circolo virtuoso conducendo alla diretta creazione di posti di lavoro,
necessità assoluta per questo territorio. Puntare sull’ambiente – ha poi
proseguito – è la strada che dobbiamo imboccare se vogliamo far
risorgere in questa regione la sua risorsa primaria, il turismo››. Ma si
parla anche di tagli diretti alla politica, introduzione del reddito di
cittadinanza, abolizione delle provincie, eliminazione dei contributi
politici per il finanziamento delle testate giornalistiche, ma sopra
ogni cosa è il principio di legalità il baluardo politico del movimento.
Un passaggio rafforzato dalla presenza del presidente del centro studi
Lazzati, Romano De Grazia. Una presenza suggestiva quella del giudice De
Grazia, sostenuto e accompagnato da Maria Grazia Messineo, esponente
del centro studi Lazzati di Reggio Calabria e militante nel Pd. Seduta
fra le prime file del pubblico udente. Una presenza quella del giudice
che ha avuto lo scopo di ribadire che la mafia si combatte in prima
linea e con i fatti, che il rispetto della legalità non ha appartenenza
politica, che la politica - sia di destra che di sinistra - degli ultimi
decenni ha contribuito alla realizzazione degli interessi della
malavita organizzata, che la lotta per la restituzione di un voto libero
è fondamentale per una sana e durevole democrazia, Il Movimento5Stelle
concordemente al presidente emerito di Cassazione giudice De Grazia,
"padre" della legge medesima, una legge che partiva da un concetto molto
chiaro : ‹‹che le mafie votano e fanno votare, condizionando la vita
democratica del Paese››, ha detto De Grazia. Affermazioni che
ribadiscono un impegno, a nome del centro studi Lazzati, un impegno che
ha il sapore di una sfida, già perché ‹‹noi non facciamo antimafia di
facciata, la lasciamo fare agli altri, per questo il cento studi Lazzati
– afferma in conclusione il presidente - ribadisce il suo impegno, reso
più forte dalla sua candidatura con proprie liste in tutti i comuni
sciolti per mafia. Se non si ripristina la legalità, all’interno e
all’esterno delle istituzioni, è inutile parlare di sviluppo economico,
con la considerazione – ha infine concluso - che se la mafia ha
acquistato baldanza e arroganza buona parte è dovuto a responsabilità
della magistratura. Questo è un discorso di riscatto e di dignità››
Qualche cenno sulla legge Lazzati, tratto dal carteggio del Giudice De Grazia
L'originaria formulazione della legge Lazzati voleva incidere su uno dei nodi cruciali dei delicati rapporti tra politica e malaffare, condizionante il momento più importante della vita di una moderna società civile, la formazione del consenso, proiettando una nefasta ombra sulle istituzioni democratiche e avanzando più che sospetti sull'inquinamento degli appuntamenti elettorali; sospetti diventati crude realtà grazie alle indagini della magistratura che hanno reso evidente come l'infiltrazione criminale nelle istituzioni siano ormai estese a tutte le regioni d'Italia, soprattutto in quelle più ricche del nord, e sia frutto del voto di scambio tra politica e criminalità organizzata. Il disposto originario della legge, per come articolato e pensato dal Centro Studi, era uno strumento che mirava a recidere alla radice (cioè al momento elettorale) l'intreccio perverso tra politica e malaffare così togliendo ai delinquenti e all'antipolitica senza scrupoli la possibilità di concretizzare nel momento topico la collusione tra politica e malavita organizzata, delineando in maniera chiara e semplice il reato e qualificando i soggetti che lo commettevano. La legge Lazzati (n.175/2010) voleva, di fatto, colmare un vuoto legislativo nell'ordinamento giuridico italiano, prevedendo e punendo il verificarsi del reato di voto di scambio in maniera chiara e semplice. In forza di ciò, oggi, è punito chi conduce una campagna elettorale a favore di terzi, raccogliendo voti attraverso il meccanismo dell'intimidazione (palese o implicita), a patto che risulti provata l'appartenenza al sodalizio criminoso e alla natura e contenuto del rapporto elettorale o l'intervenuta elargizione di una somma di denaro. L'originaria formulazione della Legge, invece, puniva il sorvegliato speciale (il mafioso riconosciuto, con sentenza, socialmente pericoloso, il cui nome è a conoscenza di ogni presidio delle Forze dell'Ordine ed è privato del diritto al voto) ed il candidato, se in capo a quest'ultimo si dimostra la collusione, con una condanna fino a 6 anni di reclusione, in quanto : ‹‹è fatto divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati e simboli con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente. Intendendo per attività di propaganda elettorale qualsiasi attività diretta alla raccolta del consenso svolta in occasione di competizioni elettorali e caratterizzata da molteplicità di atti››. Così pensata, la legge Lazzati era un potente strumento a disposizione dello stato di diritto perché di facile e immediata applicazione: ‹‹le liste dei sorvegliati speciali sono presenti in ogni questura e la prova circa la trasgressione del divieto di propaganda elettorale è di agevole acquisizione poiché ben individuata dalla normativa››. La Legge, quindi, interviene nel momento della formazione della volontà popolare, non a distanza di anni e a danno ormai compiuto. Un principio di diritto, scritto in una legge di appena 3 articoli (18 righe) ha impiegato ben 18 anni per diventare legge dello stato (è stata in discussione dal lontano 1993) : mentre a Milano partiva l'operazione Mani Pulite, in Calabria iniziava l'operazione Voto Pulito. La legge Lazzati è stata prima appoggiata e poi osteggiata (attraverso modifiche e lunghi iter di approvazione) sia da destra che da sinistra e, come preannunciato, non è stata approvata nella sua versione originaria, bensì con alcuni emendamenti che l'hanno totalmente depotenziata. Infatti, nella stesura definitiva della Legge, l'originaria formulazione è stata sostituita dalla seguente : ‹‹è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956 n.212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale”. In altre parole mentre nella formulazione originale lo sguardo era rivolto a situazioni concrete di reciproco condizionamento tra piccoli o grandi boss del malaffare e uomini politici eletti grazie alla protezione dei primi, il testo - per com'è uscito dal Parlamento - ha voluto limitarlo soltanto al riferimento alla legge n.212/1956 ove per campagna elettorale si intende "l'affissione di stampati, giornali murali od altri e di manifesti di propaganda"; con questa formulazione, per restare impunito, il boss può fare tutto fuorché "affiggere manifesti o distribuire volantini››.
ADELINA B. SCORDA
L'originaria formulazione della legge Lazzati voleva incidere su uno dei nodi cruciali dei delicati rapporti tra politica e malaffare, condizionante il momento più importante della vita di una moderna società civile, la formazione del consenso, proiettando una nefasta ombra sulle istituzioni democratiche e avanzando più che sospetti sull'inquinamento degli appuntamenti elettorali; sospetti diventati crude realtà grazie alle indagini della magistratura che hanno reso evidente come l'infiltrazione criminale nelle istituzioni siano ormai estese a tutte le regioni d'Italia, soprattutto in quelle più ricche del nord, e sia frutto del voto di scambio tra politica e criminalità organizzata. Il disposto originario della legge, per come articolato e pensato dal Centro Studi, era uno strumento che mirava a recidere alla radice (cioè al momento elettorale) l'intreccio perverso tra politica e malaffare così togliendo ai delinquenti e all'antipolitica senza scrupoli la possibilità di concretizzare nel momento topico la collusione tra politica e malavita organizzata, delineando in maniera chiara e semplice il reato e qualificando i soggetti che lo commettevano. La legge Lazzati (n.175/2010) voleva, di fatto, colmare un vuoto legislativo nell'ordinamento giuridico italiano, prevedendo e punendo il verificarsi del reato di voto di scambio in maniera chiara e semplice. In forza di ciò, oggi, è punito chi conduce una campagna elettorale a favore di terzi, raccogliendo voti attraverso il meccanismo dell'intimidazione (palese o implicita), a patto che risulti provata l'appartenenza al sodalizio criminoso e alla natura e contenuto del rapporto elettorale o l'intervenuta elargizione di una somma di denaro. L'originaria formulazione della Legge, invece, puniva il sorvegliato speciale (il mafioso riconosciuto, con sentenza, socialmente pericoloso, il cui nome è a conoscenza di ogni presidio delle Forze dell'Ordine ed è privato del diritto al voto) ed il candidato, se in capo a quest'ultimo si dimostra la collusione, con una condanna fino a 6 anni di reclusione, in quanto : ‹‹è fatto divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati e simboli con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente. Intendendo per attività di propaganda elettorale qualsiasi attività diretta alla raccolta del consenso svolta in occasione di competizioni elettorali e caratterizzata da molteplicità di atti››. Così pensata, la legge Lazzati era un potente strumento a disposizione dello stato di diritto perché di facile e immediata applicazione: ‹‹le liste dei sorvegliati speciali sono presenti in ogni questura e la prova circa la trasgressione del divieto di propaganda elettorale è di agevole acquisizione poiché ben individuata dalla normativa››. La Legge, quindi, interviene nel momento della formazione della volontà popolare, non a distanza di anni e a danno ormai compiuto. Un principio di diritto, scritto in una legge di appena 3 articoli (18 righe) ha impiegato ben 18 anni per diventare legge dello stato (è stata in discussione dal lontano 1993) : mentre a Milano partiva l'operazione Mani Pulite, in Calabria iniziava l'operazione Voto Pulito. La legge Lazzati è stata prima appoggiata e poi osteggiata (attraverso modifiche e lunghi iter di approvazione) sia da destra che da sinistra e, come preannunciato, non è stata approvata nella sua versione originaria, bensì con alcuni emendamenti che l'hanno totalmente depotenziata. Infatti, nella stesura definitiva della Legge, l'originaria formulazione è stata sostituita dalla seguente : ‹‹è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956 n.212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale”. In altre parole mentre nella formulazione originale lo sguardo era rivolto a situazioni concrete di reciproco condizionamento tra piccoli o grandi boss del malaffare e uomini politici eletti grazie alla protezione dei primi, il testo - per com'è uscito dal Parlamento - ha voluto limitarlo soltanto al riferimento alla legge n.212/1956 ove per campagna elettorale si intende "l'affissione di stampati, giornali murali od altri e di manifesti di propaganda"; con questa formulazione, per restare impunito, il boss può fare tutto fuorché "affiggere manifesti o distribuire volantini››.
ADELINA B. SCORDA
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